Tra il sacro e il profano: l’Ibis

Di Francesco Nigro –

Degno protagonista delle righe di questo nuovo bestiario del Po, l’ibis sacro,Threskiornis aethiopicus (Latham, 1790), non necessita di particolari presentazioni.

Iconico emissario afro-tropicale di cambiamento, si annuncia con l’elegante piumaggio bianco e nero, i movimenti ritmati, passi misurati, calcati in una compagine terra-acqua senza particolare confine, scandagliata febbrilmente alla cieca col lungo becco elastico, ipersensibile, una sonda ricurva affondata nel fango che corona un capo che potrebbe apparire plasmato per la scena della più grottesca mascherata veneziana.

Un bizzarro “carnevale”, quello della biodiversità di pianura, dove i “nuovi invitati” cominciano ad essere tanti.

Note lontane, dal sapore esotico, ci riportano inevitabilmente alle terre del Nilo, all’incontro fra forme umane ed animali nelle mostruose figure idolatrate, in definitiva all’immagine di Toth, saggia divinità dal capo di Ibis. Sconcertante è il ritrovamento di milioni di mummie di questa specie consacrata al culto dei morti, alcune delle quali imbottite di invertebrati, piccoli pesci, granaglie, mostrando una notevole attenzione ad un’alimentazione rituale credibile, idonea ad animali predatori e opportunisti, che si apprestavano a sfidare l’oltretomba (dagli studi della University of Western Ontario, sui ritrovamenti di Tuna el-Gebel, con oltre quattro milioni di mummie di ibis, Andrew D. Wade et al. 2012).

Creature singolari, gli ibis, che incontriamo anche nella cultura fenicia, greca, romana, nei versi classici, figure importate da quel lontano Egitto, dove la specie si sarebbe estinta il secolo scorso.

Nel tempo, giardini zoologici e collezioni ornitologiche non sono rimaste immuni al fascino del T. aethiopicus, complici l’immortale retaggio culturale e la facilità di allevamento. Questo ha contribuito ad una vasta diffusione a scopo “ornamentale” in diversi paesi europei, in particolare in Francia, con i relativi fenomeni di fuga, in alcuni casi anche massiccia (documentati pure sul territorio nazionale), e successivo insediamento nei contesti compatibili alle esigenze della specie. Sebbene non si possano escludere spostamenti dall’attuale areale naturale, Africa subsahariana e Iraq, legati anche ad attività impattanti e cambiamenti climatici, l’origine delle popolazioni europee viene attribuita all’insediamento di esemplari sfuggiti al controllo o deliberatamente abbandonati (Clergeau e Yesou 2006).

Le prime segnalazioni di esemplari erratici sul territorio nazionale risalgono ai primi del novecento (Arrigoni degli Oddi 1929, Andreotti et al. 2001, database uccelli alloctoni ISPRA). In Emilia-Romagna vengono osservati per la prima volta negli anni novanta (S. Volponi e D. Emiliani), nel ravennate, a Valle Mandriole, altrimenti nota come Valle della Canna, nel Parco Regionale del Delta del Delta de Po. Sempre nella garzaia mista di Valle Mandriole, nel 2007, si è osservato il curioso caso di ibridazione con una altrettanto esotica spatola africana, Platalea alba, Scopoli, 1786 (S. Volponi e D. Emiliani). Fino ad allora un evento simile era stato registrato solo in cattività, nello Zoo di Berlino negli anni cinquanta.

Oggi la specie appare in netto aumento nella Pianura Padana e, sebbene sia inserita nell’allegato II della Convenzione di Berna (Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, Berna, 1979) per garantirne la tutela nei luoghi di origine, questo pelecaniforme compare anche fra le specie ornitiche invasive alloctone di rilevanza Europea (Regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 della Commissione del 13 luglio 2016), per le quali debbono essere previste strategie di contenimento. É del 2020 il primo “Piano di gestione Nazionale dell’Ibis Sacro, Threskiornis aethiopicus (LATHAM, 1790)” redatto da ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

Un “sacro profanatore” di ecosistemi, la cui pressione potrebbe causare un impoverimento della fauna minore, con particolare riferimento agli anfibi, quindi possibili eventi di predazione di pulli e uova, danneggiamento passivo di uova, sottrazione di spazi utili alla nidificazione impiegandoli con nidi a piattaforma senza soluzione di continuità e, in generale, competizione con le specie caratterizzate da simile nicchia ecologica.

Leggendo il Piano di ISPRA si riconosce l’assenza attuale di studi che mostrino, definiscano e quantifichino l’impatto della specie sulla biodiversità autoctona. A questo proposito, in Italia non sono stati registrati casi di predazione a carico di uova o nidiacei che condividono lo stesso sito riproduttivo (ISPRA, 2020).

In definitiva, è una delle tante specie nuove, che riescono ad inserirsi nella vorticosa catena di eventi e di cambiamenti ambientali, trovando condizioni idonee, fra cui l’abbondanza di prede, perlopiù aliene, primi fra tutti i diversi gamberi alloctoni che brulicano nella rete idrica della pianura, quindi altre forme invasive fra cui il Misgurnus anguillicaudatus (Cantor, 1842) (osservazioni ormai comuni). Una specie da monitorare, il T. aethiopicus, che dimostra una evidente capacità di maturare specializzazioni alimentari, plasmando la dieta in funzione delle situazioni contingenti. Tutto questo in un sistema ecologico già abbondantemente profanato a monte.